Appare del tutto fuori luogo disporre il blocco di un intero sito web a fronte della distribuzione illegittima di qualche file protetto dalle leggi sul diritto d’autore. È sostanzialmente quanto ha sancito il Tribunale di Roma dando ragione al ricorso presentato dall’avvocato Fulvio Sarzana, uno dei massimi esperti italiani di tematiche legate ai diritti fondamentali e rete Internet.
Il sito Rapidgator.net, utilizzato da milioni di utenti in tutto il mondo per caricare file di grandi dimensioni, deve quindi tornare ad essere visibile utilizzando i server DNS dei provider italiani.
I giudici romani si erano recentemente espressi deliberando la chisura dell’accesso verso 27 siti Internet, alcuni dei quali anche piuttosto famosi e trafficati (Roma: disposto l’oscuramento di 27 domini Internet), a fronte della denuncia presentata da una piccola società italiana distributrice di pellicole cinematografiche.
Sarzana, che ha assunto la difesa di uno dei siti web coinvolti nell’indagine – Rapidgator.net -, ha portato il Tribunale della capitale a capovolgere la sentenza: “se effettivamente la società Rapidgator offre, come dice, un servizio di cyberlocker, il decreto oggi in esame è senz’altro di portata eccessiva rispetto al fine che intende perseguire“, scrive il giudice.
Con il termine cyberlocker ci si riferisce ai servizi di archiviazione su Internet che sono appositamente progettati per ospitare i file inviati dagli utenti. Si tratta, in sostanza, dei tanti servizi che permettono l’hosting di file con la possibilità, per gli altri utenti, di procedere successivamente al loro scaricamento.
Impedire l’accesso ad un sito web come Rapidgator solo perché vi sono stati rinvenuti dei file che violano le disposizioni a tutela del diritto d’autore è insensato secondo Sarzana che fa un esempio: “è come se essendo stata rinvenuta, in ipotesi, all’interno di uno degli armadietti riservati ai singoli utenti di una struttura aperta al pubblico (come potrebbe essere una scuola, una palestra, una piscina,…), merce di provenienza furtiva, si decidesse di chiudere la struttura stessa, al fine di impedire la circolazione della refurtiva, laddove è di tutta evidenza che basterebbe cancellare l’iscrizione del titolare dell’armadietto, unico possessore della chiave di accesso“.
Perché obbligare i provider italiani, quindi, a rendere impossibile la risoluzione del dominio attraverso i loro DNS quando, invece, bisognerebbe richiedere la rimozione del solo contenuto pubblicato (peraltro da terzi, dagli utenti del servizio) in maniera illecita?
I giudici del Tribunale di Roma hanno riconosciuto che provvedimenti “draconiani” possono essere presi “quale unico rimedio all’indicata inefficienza di rimedi meno drastici. Sempre che risulti documentata e dimostrata l’incapacità della società ricorrente di reprimere le condotte tese a diffondere tale opera sul sito da essa gestito“.
In altre parole il sito web deve attivarsi tempestivamente, su segnalazione del tribunale, rimuovendo i contenuti illegittimi. Qualora ciò non dovesse accadere, si potranno valutare, in un secondo tempo, provvedimenti sanzionatori.
Nel caso di Rapidgator, quindi, i togati romani hanno disposto “il ripristino dell’utilizzo del sito rapidgator.net ai fini di archiviazione per conto terzi (eventualmente anche a pagamento) posto che non è stato attuato, finora, alcun tentativo di ottenere la cancellazione dell’utente responsabile della violazione“.
L’avvocato Sarzana si è dichiarato soddisfatto del risultato ottenuto: la decisione dei giudici ben evidenzia come la responsabilità del cosiddetto “intermediario della comunicazione” (il soggetto che mette a disposizione di terzi un servizio) debba essere rigorosamente provata, anche nella fase cautelare. Si tratta di “un’ordinanza altamente innovativa“, ha concluso il legale, “che introduce (…) il principio del notice and take down preventivo come parametro della proporzionalità e gradualità della misura del sequestro preventivo di un sito web“.
Mentre Rapidgator tornerà a breve raggiungibile utilizzando server DNS italiani, il provvedimento censorio nei confronti degli altri 26 siti web resta ancora in vigore. Sarzana spiega infatti che gli amministratori degli altri siti hanno per ora preferito non impugnare la prima decisione decidendo di imboccare altre vie.