L’equo compenso ossia la gabella che tutti i consumatori automaticamente versano ogniqualvolta acquistino un supporto per la memorizzazione dei dati (non solo, quindi, CD e DVD ma anche chiavette USB, hard disk, tablet e smartphone) è stato ritenuto legittimo da parte dei giudici del Consiglio di Stato che hanno confermato la precedente decisione del TAR del Lazio.
Come spiegato nel nostro articolo Equo compenso, ecco i rincari che valgono solo per l’Italia l’equo compenso è una vera e propria tassa sulla copia privata ossia un obolo che i consumatori sono tenuti a versare a fronte dell’eventuale effettuazione di copie ad uso privato di opere tutelate dal diritto d’autore e regolamente acquistate.
Si tratta della possibilità che viene concessa agli utenti di creare un backup personale delle opere acquistate in proprio (CD e DVD contenenti opere cinematografiche e brani musicali protetti da copyright).
L’equo compenso è stato duramente osteggiato dalle principali associazioni dei consumatori, dagli stessi produttori di dispositivi hardware per la memorizzazione dei dati oltre che da altri “big” (per fare qualche nome: Apple, Nokia Italia, Samsung, HP, Dell, Sony Ericsson, Telecom Italia e Fastweb).
Mentre altrove il versamento dell’equo compenso è stato legato all’effettivo esercizio, da parte dell’utente finale, del diritto alla copia privata, in Italia il TAR lo ha definito come una “tassa”, da pagarsi in ogni caso.
Così, mentre la SIAE – anche attraverso le parole del presidente Gino Paoli (destinatario, nella giornata di ieri, di alcune perquisizioni della Guardia di Finanza presso la sua residenza e la sede della sua azienda con l’accusa di evasione fiscale) – festeggia la decisione del Consiglio di Stato prendono vigore nuove iniziative volte ad una riforma complessiva della normativa che in Italia appare farraginosa.
Alcune domande: perché sono stati decretati aumenti da capogiro per ciò che riguarda l’equo compenso? Basti pensare che, complessivamente, la Confederazione mondiale delle società di gestione dei diritti d’autore (CISAC) nel 2013 ha raccolto – nei 120 Paesi in cui operano le 250 società di gestione dei diritti, compresa la SIAE – una somma pari 237 milioni di euro. “Solo in Italia, nello stesso anno, la SIAE ha raccolto 67,1 milioni di euro“, rileva l’avvocato Guido Scorza, uno dei più autorevoli esperti di diritto informatico e di tematiche connesse alla libertà di espressione ed alle politiche di innovazione. “Il nostro Paese, da solo, ha contribuito per oltre un quarto alla raccolta complessiva mondiale di compensi per copia privata“.
Il compenso per l’equo compenso “pro-capite” in capo ad ogni italiano, inoltre, è elevatissimo, pari a circa il doppio della media europea.
Perché, poi, versare un contributo quando ormai quasi più nessuno si serve della copia privata? Perché dovrebbero essere tenuti a versare l’equo compenso anche professionisti ed imprese?