Tra gli utenti possessori di un qualunque dispositivo elettronico è diffusa l’abitudine di lasciare collegati alla presa elettrica a muro i vari caricabatterie. Collegare e ricollegare gli alimentatori è spesso scomodo, soprattutto se si trovano in una posizione difficile da raggiungere, ad esempio sotto la scrivania. Per questo motivo, sono in tanti a lasciare alimentati i caricabatterie per poi limitarsi a collegarne l’estremità per la connessione allo smartphone, al tablet o al notebook (con connettore DC o USB).
Ogni caricabatteria (adattatore AC/DC) dispone di una “targa” ossia di un’etichetta contenente le informazioni sulle sue caratteristiche in termini di tensione e amperaggio (corrente). I valori da controllare sulla targa sono quelli posti accanti alla voce Output (“uscita”).
Moltiplicando i valori di corrente e tensione, si otterrà il valore della potenza in Watt ossia il quantitativo di energia che l’alimentatore può – al massimo – consumare per ricaricare o alimentare i dispositivi collegati a valle. Ovvio che se a valle il caricabatterie non è collegato a nessun dispositivo (connessione “a vuoto”), è lecito attendersi un certo consumo di energia che però non sarà neppure lontanamente paragonabile a quello rilevato durante le attività di ricarica e alimentazione.
I caricabatterie sono dispositivi che variano i parametri elettrici (tensione e intensità di corrente) da una rete primaria a una secondaria. I due circuiti presenti sono accoppiati induttivamente: non c’è quindi alcun contatto tra gli avvolgimenti.
La tensione in ingresso (ad esempio 230 V a 5 V) viene trasformata convertendo dapprima la corrente elettrica alternata sul circuito primario in un flusso elettromagnetico che viene poi convertito in un flusso elettrico ancora una volta alternato sul circuito secondario (ad esempio 5 V).
Quando il caricabatterie è collegato alla rete elettrica senza alcun carico a valle è ovvio che c’è un consumo energetico perché i circuiti sono alimentati e stanno funzionando. Dove va l’energia assorbita da un caricabatterie funzionante “a vuoto” (quindi senza alcun dispositivo collegato a valle)?
Semplice: si disperde sotto forma di calore o di energia cinetica. Ricordate i ronzii propri dei trasformatori di più grandi dimensioni, assolutamente assente nei moderni caricabatterie per smartphone e tablet? Quei ronzii erano dovuti alla vibrazione dei lamierini che compongono il trasformatore, oggi del tutto assenti nelle apparecchiature destinate ai mercati consumer e professionali.
Quindi non è possibile sostenere che il consumo energetico di un caricabatterie a vuoto sia pari a 0 W ma attrezzandosi con un amperometro digitale collegato all’ingresso dell’alimentatore è facile capire come stanno le cose.
Collegando l’amperometro digitale sul circuito in ingresso (230 V) del caricabatterie quindi misurando la corrente rilevata in Ampere (A), con una semplice moltiplicazione si potrà calcolare la potenza ovvero l’energia consumata dal caricabatterie connesso alla rete elettrica “a vuoto”.
Non serve essere maghi in elettrotecnica per accorgersi che la stragrande maggioranza dei caricabatterie, anche quelli più vecchi, non supera i 60 mA di corrente a vuoto nel caso degli alimentatori per notebook, con la maggior parte degli alimentatori per smartphone e tablet che non arriva neppure a 0,3 mA (ovvero 300 microampere).
Moltiplicando tali valori per 230 V si otterranno valori rispettivamente pari a 13,8 W (60 mA x 230 V / 1000) e 69 mW (0,3 mA x 230 V).
Dal momento che in un anno ci sono 8.760 ore (24 ore x 365 giorni), il consumo di energia elettrica è stimabile al massimo in circa 120.000 Wh (13,8 W x 8.760 ore) nel caso dei notebook e 600 Wh (69 mW x 8.760 ore /1000) per gli alimentatori degli smartphone.
Abbiamo provato a verificare quale sia il costo a KWh applicato in fattura dal fornitore di energia elettrica: nel mercato a maggior tutela ci si aggira tra 0,19 e 0,21 euro per KWh.
Nel caso degli smartphone, un consumo di 600 Wh è pari ad appena 0,12 euro annui (600 Wh / 1000 * 0,2 euro); nel caso dei notebook il consumo massimo sembra essere di 24 euro annui (120.000 Wh / 1000 * 0,2 euro).
Il consumo energetico dei caricabatterie per smartphone lasciati sempre sotto carica non è affatto nullo, quindi, ma il costo annuo è irrisorio. Nel caso dei notebook i numeri sono più elevati ma sono anche pochi gli utenti che lasciano costantemente collegato alla presa elettrica a muro il caricabatterie di un portatile.
Basti comunque tenere presente che un alimentatore per un notebook di recente fattura può ridurre il consumo annuo di energia se collegato a vuoto a meno di 40 KWh (equivalenti a 8 euro annui).
I caricabatterie più moderni non lavorano a 50 Hz ovvero alla frequenza della tensione di rete domestica (230 V) ma a frequenze molto più elevate riducendo le perdite, aumentando i rendimenti ed evidenziando consumi energetici a vuoto di fatto irrilevanti (per non parlare delle dimensioni molto più contenute). Non consumano infatti 600 Wh come nell’esempio ma molto di meno.
Come nota finale, va altresì tenuto presente che nei calcoli non si è tenuto presente la correzione derivante dall’applicazione del fattore di potenza.
Con questo articolo non vogliamo esortare i nostri lettori a tenere sempre collegati alla rete elettrica i loro caricabatterie (è sempre bene preservarli da sovratensioni e inutile usura) ma desideriamo evidenziare come i consumi energetici non siano così marcati come qualcuno a più riprese continua a scrivere. In un’ottica di risparmio energetico è comunque opportuno disconnettere dalla rete tutti i dispositivi quando non sono in uso.