Dichiarazioni al vetriolo da parte di uno dei rappresentanti legali di Google che critica l’attuale sistema dei brevetti ed accusa apertamente Microsoft di sfruttarne le debolezze a proprio vantaggio. Le affermazioni di Tim Porter non lasciano spazio a fraintendimenti: “quando i loro prodotti non hanno successo nel mercato (Porter si riferisce a Microsoft, n.d.r.), utilizzano il loro ricco portafoglio di brevetti per ricevere introiti sfruttando il consenso ottenuto dai prodotti delle aziende concorrenti“. Porter non è d’accordo nel definire il versamento delle royalty su Android, ad esempio, come la naturale evoluzione di un nuovo settore industriale ed osserva che Microsoft, nei suoi primi dodici anni di vita non ha dovuto preoccuparsi dei brevetti perché il loro impiegato per il mondo del software non fu permesso, negli States, sino agli anni ’80.
L’idea dei brevetti software mise in allarme lo stesso Bill Gates che nel 1991, quando Microsoft esisteva ormai da circa 16 anni (Google è stata fondata nel settembre 1998), scrisse: “l’industria rimarrebbe immobilizzata. (…) Alcune grandi aziende potrebbero brevettare cose piuttosto ovvie” permettendo “l’acquisizione di molti dei nostri profitti” (la versione integrale della nota firmata dal fondatore del colosso di Redmond è pubblicato in quest’articolo del 1991).
Google sembra trovarsi nella stessa situazione dipinta ormai vent’anni fa da Gates. I software dovrebbero continuare ad essere oggetto di brevetti? Interrogato sulla questione, Porter ha preferito comunque evitare di offrire una risposta puntuale spiegando che i brevetti dovrebbero essere accordati, in primis, solo nel caso in cui non riguardino aspetti generici ed ovvi della tecnologia.
“Ci sono molti modi possibili per descrivere un pistone ma i brevetti software sono dai legali utilizzando un linguaggio che nemmeno gli ingegneri sono in grado di comprendere“, ha dichiarato Porter. “I brevetti vengono utilizzati per minare l’innovazione oppure per ricevere guadagni sulle spalle dei prodotti di successo“. Ma, tra le righe, non sembra esservi alcuna apertura all’abolizione dei brevetti software.