La bomba è scoppiata sabato scorso dopo la pubblicazione di un articolo sulle colonne del New York Times. Il quotidiano statunitense ha puntato il dito direttamente contro Apple accusando la società di utilizzare delle tattiche per versare meno tasse negli USA. Le contestazioni sollevate Oltreoceano sono pungenti e non lasciano spazio per diverse interpretazioni: “grazie ad un manipolo di impiegati, al lavoro presso un ufficio situato a Reno (una città dello stato del Nevada, n.d.r.), Apple sta facendo leva su una strategia decisa a livello centrale: l’obiettivo è quello di evitare il versamento di milioni di dollari di tasse in California così come in altri venti stati“, si legge nel pezzo a firma di Charles Duhigg e David Kocieniewski.
Il “quartier generale” di Apple, viene ricordato, è situato a Cupertino, in California, località che è considerata come il cuore della “Silicon Valley“, un’area ove si concentrano gran parte delle sedi delle aziende attive nel settore dei software, dei semiconduttori e dei personal computer. Allestendo un ufficio a Reno, a circa 320 chilometri di distanza, con lo scopo di gestire gli investimenti e le operazioni finanziarie della società, Apple avrebbe evitato la corresponsione nelle casse statali di grandi quantitativi di denaro. “La tassazione imposta alle aziende in California è pari all’8,84%“, scrivono Duhigg e Kocieniewski. “In Nevada è pari a zero (…) Così come ha fatto in Nevada, Apple ha istituito delle società controllate in diversi Paesi ove la tassazione è minima“. E vengono citate nazioni quali l’Irlanda, l’Olanda, il Lussemburgo e le Isole Vergini Britanniche.
Secondo la tesi del New York Times, l’operazione posta in essere dai vertici di Apple avvantaggerebbe enormemente l’azienda che, secondo le ultime stime di Wall Street, nel corso dell’anno fiscale potrebbe far segnare un introito pari a 45,6 miliardi di dollari. Un record di sempre per qualunque impresa a stelle e strisce.
Non sarebbe però una pratica esclusivamente appannaggio di Apple: secondo una ricerca condotta sempre dal quotidiano USA, 71 aziende dell’IT facenti parte dell’indice Standard & Poor’s 500 (tra le quali spiccano i nomi di Apple, Google, Yahoo e Dell) avrebbero versato, nell’ultimo biennio, importi in tasse equivalenti a meno di un terzo rispetto alle somme esborsate dalle altre aziende che figurano in elenco.
Apple, da parte sua, non ha perso tempo ed ha preparato una “lettera aperta” con la quale chiarisce la sua posizione ed il suo punto di vista. L’azienda della Mela ha risposto al duro articolo del New York Times ricordando gli imponenti investimenti in risorse umane effettuati nel corso del tempo. “Negli ultimi anni abbiamo creato un numero incredibile di posti di lavoro, gran parte dei quali negli Stati Uniti. La più grande fetta del nostro business rimane negli USA e con essa più di 47.000 dipendenti impiegati nei 50 stati. Ponendo l’accento sull’innovazione, abbiamo sviluppato prodotti nuovi ed una nuova industria contribuendo così a rendere disponibili oltre 500.000 posti di lavoro per i cittadini statunitensi, da coloro che realizzano componenti per i nostri dispositivi a coloro che li consegnano nelle mani dei nostri clienti“. La difesa di Apple è accorata e si tiene a sottolineare come l’azienda comunque paghi quella che viene definita una “montagna” di tasse: “nella prima metà dell’anno fiscale 2012, le nostre attività negli Stati Uniti hanno prodotto qualcosa come 5 miliardi di dollari da versare nelle casse federali e statali“.