Apple e molte società sviluppatrici di applicazioni per i dispositivi “della mela” sono oggetto di una class action avviata nei giorni scorsi nel Northern District dello stato della California. I promotori dell’azione legale sostengono che alcune applicazioni raccolgano informazioni a partire dalle quali è possibile identificare personalmente un utente. Ed Apple stessa, secondo l’accusa, avrebbe mantenuto un atteggiamento compiacente nei confronti di questo tipo di attività nonostante la policy sulla privacy dell’azienda guidata da Steve Jobs impedisca simili “rastrellamenti” di dati.
Alcune applicazioni, citate esplicitamente nei documenti presentati in tribunale, collezionano e trasmettono a server remoti (di Apple e degli sviluppatori) informazioni di tipo demografico che possono essere abbinate al numero identificativo univoco (UDID) del singolo iPhone od iPad.
Secondo Paul Ohm, docente esperto di diritto, “tutti i ricercatori sanno da oltre un decennio che, per identificare in modo univoco una buona parte degli americani, basta semplicemente CAP, sesso e data di nascita“. Per i promotori dell’azione legale, nel caso dei dispositivi a marchio Apple ci si sarebbe spinti oltre: presi assieme, i dati raccolti rappresenterebbero un elemento teso all’identificazione personale degli utenti. E ciò non sarebbe accettabile dal momento che i dati sarebbero stati memorizzati senza alcuna autorizzazione.
Le contestazioni in materia di privacy sollevate nei confronti della piattaforma Apple potrebbero tuttavia interessare, come conferma il Wall Street Journal, anche altri dispositivi mobili.