Era il 2 marzo 2017 quando AMD presentò sul mercato i suoi processori Ryzen: ne parlammo anche noi all’epoca presentandoli subito come prodotti capaci di sfidare Intel. L’attesa montava da settimane perché si parlava di processori nuovi in grado di assicurare prestazioni comparabili con gli Intel Core i7 alla metà del loro prezzo.
Per AMD il lancio sul mercato dei suoi Ryzen è stata letteralmente una liberazione: senza questa famiglia di processori il produttore di chip di Sunnyvale probabilmente non sarebbe più esistito. La precedente architettura Bulldozer del 2011 si era infatti rivelata un completo fallimento: le CPU delle serie A e FX che ne erano dotate non riuscivano a tenere il passo dei processori “Core i” di Intel in termini di efficienza e di prestazioni.
AMD iniziò a sviluppare quella che avrebbe visto la luce nel 2017 come architettura Zen: dei passaggi che hanno portato alla nascita dell’offerta Ryzen ha parlato AMD stessa festeggiando i 5 anni della piattaforma.
A guidare il team di ingegneri che hanno lavorato su Zen è stato Jim Keller che in precedenza aveva lavorato sul DEC Alpha 21164, sull’AMD Athlon, sull’Athlon 64 e sul primo chip ARM Apple A4.
Partendo da un foglio bianco il risultato è stato un design rivoluzionario che ha messo AMD nelle condizioni di recuperare il terreno perduto rispetto a Intel.
Con Zen è stata aggiunta una cache per le micro-operazioni già tradotte in modo da sgravare le unità di decodifica e risparmiare energia.
AMD ha inoltre potuto integrare la tecnologia Simultaneous Multithreading (SMT) nei suoi Ryzen in modo che ciascun core possa elaborare due thread contemporaneamente: lo abbiamo visto nell’articolo dedicato a cosa sono i core di un processore.
SMT fa un uso migliore delle unità di elaborazione e con un software ben parallelizzato permette di ottenere eccellenti migliorie in termini prestazionali.
AMD ha potuto inoltre aggiungere cache L2 e L3 di dimensioni generose ottimizzando ulteriormente le prestazioni: così i dati devono essere recuperati dalla RAM, significativamente più lenta, con minore frequenza. In un altro articolo abbiamo visto cos’è e come funziona la cache del processore.
Le differenze dei Ryzen rispetto agli Intel Core furono subito chiare ma i vantaggi sono divenuti evidenti soltanto qualche anno dopo. Ogni Ryzen è di fatto un SoC (System-on-a-Chip) perché contiene non solo i core della CPU, cache, controller di memoria e opzionalmente un’unità grafica ma anche funzioni I/O aggiuntive per la gestione delle interfacce SATA e USB (come funziona un processore). La conseguenza diretta è che i Ryzen possono funzionare anche senza un chipset, il che è un vantaggio per i mini PC e per i dispositivi mobili poi apparsi sul mercato.
La prima generazione Ryzen ha permesso ad AMD di compiere un grande balzo in avanti in termini di prestazioni ed efficienza. Quest’ultima è stata ancora ottimizzata con il lancio dei processori Zen 2 e il passaggio dal processo produttivo a 12/14 nm a quello a 7 nm.
AMD ha anche raddoppiato il numero massimo di core della CPU a vantaggio delle prestazioni in multithreading. Le performance in single core aumentano invece soltanto grazie a frequenze di clock più elevate e ai miglioramenti architettonici quindi crescono molto più lentamente.
Gli ingegneri della società guidata da Lisa Su hanno poi collegato i singoli componenti della CPU tramite l’interfaccia Infinity Fabric appositamente sviluppata. Essa opera sia all’interno di un chip che tra chip diversi.
Oltre al tradizionale schema monolitico per la realizzazione dei processori è stato quindi possibile guardare al design a chiplet col quale diversi chip sono combinati in un package comune.
Con uno sforzo di sviluppo relativamente ridotto, AMD è stata in grado di offrire CPU server della serie EPYC anche con 64 core fisici combinando 8 die Zen.
A partire dalla serie Ryzen 3000 vengono persino utilizzati chip realizzati ricorrendo a tecnologie di produzione differenti.
Una flessibilità massima che permette ad AMD di lavorare con un’unica architettura sui processori più economici come gli Athlon dual-core fino ai prodotti per sistemi server.
Con i suoi Ryzen, AMD ha portato per la prima volta 8 core sul mercato mainstream dei PC desktop a un prezzo molto interessante.
Con l’Intel Core i7-6900K di fascia alta il Ryzen 7 1800X riuscì a misurarsi in un serrato testa a testa: l’octa-core di Intel costava però 1.100 euro all’epoca mentre il Ryzen 7 1800X soltanto 559 euro.
La prima generazione Ryzen destò grande meraviglia, soprattutto durante l’utilizzo di quelle applicazioni che traggono vantaggio dalla presenza di molti core (rendering, codifica video, crittografia,…). Il modello di punta di Intel basato su socket LGA 1151 veniva battuto dall’offerta di AMD. In single thread AMD rimase sempre un gradino più in basso rispetto alla rivale Intel non riuscendo a raggiungere le prestazioni delle più veloci CPU Kaby Lake (Intel Core di settima generazione).
Le performance in single thread e in generale il gaming furono gli aspetti più deficitari dei processori Ryzen 1000.
A complicare il quadro anche lo scheduler di Windows che non riusciva a gestire correttamente la struttura dei nuovi Ryzen in cui quattro core condividono ciascuno un blocco della cache di livello 3 (il cosiddetto CPU Core Complex o CCX come lo chiama AMD).
Se il sistema operativo distribuisce i thread della stessa applicazione a core appartenenti a CCX diversi le latenze di comunicazione sono significativamente più alte che tra i core nello stesso CCX.
Solo due anni dopo con Windows 10 build 1903 lo scheduler Microsoft ha imparato a distinguere i vari CCX e ad ottimizzarne l’utilizzo.
A poche settimane di distanza dalla presentazione delle prime CPU desktop Ryzen emerse che AMD stava progettando una variante molto più potente con il doppio dei core e dei canali di memoria: nell’estate 2017 AMD presentò Ryzen Threadripper 1000.
Si trattava di un processore che AMD ha lanciato un po’ “a sorpresa” e che era destinato ai PC di fascia più elevata. A settembre dello stesso anno parlammo dell’affascinante storia che ha portato alla nascita dei processori AMD Threadripper.
I Threadripper utilizzavano fino a 16 core, quattro canali DDR4 e 60 piste PCIe: inizialmente pensati per gli utenti più esigenti appassionati di gaming, questi processori diventarono un punto di riferimento per le workstation destinate agli utenti professionali e permettevano l’uso di un massimo di 64 core.
Dal punto di vista dei consumatori, i processori Ryzen sono stati una grande vittoria poiché i prezzi sono crollati con l’arrivo della concorrenza di AMD. Con ogni nuova generazione si è registrato anche un importante aumento delle prestazioni sia sul versante AMD che Intel.
Ci sono stati anche alcuni ostacoli nella storia di successo di Ryzen: nel 2018 anche i processori AMD, come le controparti di Intel, furono scoperti vulnerabili ad attacchi di tipo side-channel (ad esempio Spectre V1 e V2), problemi che hanno a che fare con l’esecuzione speculativa delle istruzioni e che tornano spesso di grande attualità anche oggi.
Ci furono poi i ben noti problemi di segmentation fault che hanno indotto AMD a sostituire in garanzia tutti i processori interessati.
Adesso AMD si appresta ad accantonare finalmente il socket AM4 rimasto ancora oggi con i più moderni Ryzen 5000.
Nella seconda metà del 2022 i Ryzen 7000 necessiteranno dell’utilizzo di schede madri con socket AM5 ma le innovazioni saranno tante: supporto per l’interfaccia PCIe 5.0, RAM DDR5, produzione a 5 nanometri e architettura Zen 4 ulteriormente migliorata.